Mujeres de letras: pioneras en el arte, el ensayismo y la educación
BLOQUE 4. Artistas, mujeres de teatro y espectáculo

Mondi a confronto attraverso Shirin Neshat

Marianna Stucchi

UNED

Riassunto: Shirin Neshat è un’artista iraniana che vive da anni a NY, occupandosi di fotografia, video, lungometraggi… i suoi interessi principali ricadono sulla società iraniana e il mondo musulmano. Tuttavia il suo complesso lavoro non può essere ridotto solo al rapporto con quelle culture. Le sue idee e i temi che sono in relazione col suo Paese sono senza dubbio temi universali. Artista nomade, cresciuta principalmente in Occidente, il suo lavoro cerca di contenere, sia esteticamente che concettualmente, temi di entrambi i “mondi”, per così dire, est e ovest, mondo cristiano e mondo musulmano, oltre, naturalmente, a temi maggiormente personali e con idee sociali più ampie. Si tratta di un lavoro sempre concentrato sulle donne, sentendosi lei stessa, in quanto donna appunto, più vicina alle tematiche femminili, alle loro battaglie e alle loro criticità, che attraversano argomenti personali tanto quanto socio-politici.

Parole chiave: Shirin Neshat; Artista; Biografia; Arte contemporanea; Iraniana; Cine d’autore.

1. Cenni biografici1

Shirin Neshat è nata a Qazvìn, una piccola città iraniana ubicata al nord del Paese a circa 165 km dalla capitale Teheràn, nel 1957. È una delle artiste più famose e rappresentative dell’arte iraniana contemporanea, vantando una grande produzione di audiovisivi e fotografie.

Pur essendo molto legata alla sua terra e alle sue tradizioni vive ora a New York dove ha potuto incontrare maggior libertà di movimento per il suo carattere artistico.

Le sue origini familiari la vedono figlia della classe media iraniana che seguiva principalmente i valori e le ideologie occidentali, fattore questo che influenzò naturalmente molto la sua vita e, di conseguenza, la sua opera. Parlando del padre Neshat ha detto

Mio padre fantasticava sull’Ovest, lo caricava di romanticismo e, gradualmente, ha rinnegato i valori con cui era cresciuto; mia madre lo ha seguito in tutto ciò. Credo che abbiano gradatamente rimosso la loro identità in cambio di comfort. Era funzionale alla loro posizione sociale.2

Iniziò così i suoi primi studi in una scuola cattolica di Teheràn, nella quale si andranno instaurando in lei sempre più determinati codici occidentali quali il suo femminismo, aspetto, come vedremo, fondamentale nella sua opera.

Dal canto suo, il padre di Neshat, incentivò in lei, così come nelle sue sorelle e nei suoi fratelli, il desiderio di una preparazione universitaria, in modo che tutti raggiungessero una adeguata preparazione accademica. Dai nonni materni ha invece appreso i valori religiosi tradizionali. Sarà dunque la commistione dei due “mondi” a generare l’artista che è in lei.

Fu così che già a 17 anni Neshat si spostò a Los Angeles per studiare arte. E fu proprio durante la sua permanenza all’estero che nel suo Paese si scatenò la cosiddetta “Rivoluzione Islamica” iraniana del 19793 che portò come risultato a una ristrutturazione politica e la instaurazione di una società tradizionale islamica in Iran. Come si può facilmente evincere questo cambiamento comportò, nella famiglia di Neshat, la perdita di sicurezza finanziaria proveniente dal padre che dovette ritirarsi dal lavoro di medico.

Circa un anno dopo la Rivoluzione, Shirin Neshat si installò a San Francisco dove si immatricolò nel Dominican College per poi incorporarsi nell’Università della California a Berkeley dove completò i suoi studi d’arte nel 1981/82 (Master of Arts e Master of Fine Art, corrispondenti ai diversi livelli di laurea e master propri della formazione artistica).

In seguito si spostò a New York dove sposò Kyong Park, curatore coreano che aveva fondato una galleria d’arte sperimentale, la “Storefront for Art and Architecture”, organizzazione senza fini di lucro alla quale naturalmente Neshat si incorporò attivamente. Questo mondo le permise di entrare in contatto con una gran varietà di ideologie diverse che le consentirono una maturazione artistica e acquisì così la necessaria esperienza per l’individuazione della sua caratterizzazione artistica. Legate a questo periodo infatti risalgono le sue prime produzioni artistiche, successivamente distrutte da lei stessa.

Nel 1990 tornò in Iran e, come dice lei stessa, constatò una grande differenza tra la cultura iraniana della sua infanzia e prima giovinezza e questa incontrata al suo ritorno:

Siempre digo que fue una experiencia muy intensa porque nunca había estado en un lugar en el que la ideología tuviera tanto peso. La Revolución cambió drásticamente todos los aspectos de la vida en Irán. El Irán que encontré era por un lado aterrador y por otro muy excitante. El país había estado tan aislado que en cierto modo parecía que uno entraba en otro mundo completamente distinto. Esto tenía cierto atractivo especialmente viniendo de occidente, del capitalismo y el individualismo propios del primer mundo. Pero cuando una se enfrentaba con aspectos tan cruciales como la ausencia de derechos humanos y de libertad de expresión, daban ganas de salir corriendo4

Frutto di questa singolare e scioccante esperienza, ossia quella di confrontare le radicali differenze tra l’Iran pre e post Rivoluzione produce le sue prime opere rilevanti: le serie di fotografie Unveiling e Women of Allah, entrambe del 1994.

Nel 2010, Neshat è stata nominata Artista del Decennio da G. Roger Denson, critico dell’Huffington Post, per

“il livello con cui i suoi lavori artistici sono in sintonia con l’evoluzione degli eventi e della cultura che è sempre più globale,” e per lo stimolo a riflettere sulla “guerra ideologica combattuta tra l’Islam e il mondo laico su questioni di genere, religione e democrazia,” e perché “l’impatto del suo lavoro trascende di gran lunga i confini dell’arte riflettendo le più difficili battaglie per l’affermazione dei diritti umani”5.

2. Pensiero artistico

In generale l’opera di Shirin Neshat si concentra sulla dimensione sociale, culturale, politica, religiosa e ideologica propria dei conflitti che vivevano le donne nelle società musulmane contemporanee e, nello specifico, quelle radicate nella comunità iraniana. L’artista è interessata a come l’essere donna, anche per ragioni biologiche, sviluppi una particolare forza. Una forza dalla quale si sente attratta, che vede come qualcosa di innato, a differenza di ciò che accade per gli uomini. Le interessano la femminilità e l’essere donna, ne accetta e ne ama anche la fragilità, in contrapposizione col fatto che gli uomini sembra sempre che debbano essere forti.

A partire dall’immaginario che l’Occidente ha costruito attorno alla donna del Medio Oriente e alla sua relazione con l’Islam, Neshat stabilisce un nuovo discorso critico che segue due percorsi: da un lato contro questi stereotipi occidentali, dall’altro sui contenuti sociali e politici da cui sono originari. Per rendere il carattere conflittuale di questi contesti, Neshat si avvale del mezzo di contrapposizione degli opposti.

Nell’opera “Le donne di Allah” (serie fotografica 1993-1997), per esempio, l’artista si concentra sul contrasto tra l’elemento di sensualità ed erotismo presente in una bella donna con il velo, tra la politica e la religione, ecc. Si tratta di una serie di immagini che ci mostrano il paradosso delle donne islamiche che sono estremamente impegnate e devote alla loro religione, ma poi si trovano a convivere con il fattore biologico: si parla di donne sensuali e desiderabili, una contraddizione che Neshat cerca di sottolineare.

Il suo lavoro si riferisce ai codici sociali, culturali e religiosi delle società musulmane e alla complessità di certe contrapposizioni, come maschio e femmina. Shirin Neshat enfatizza questo tema mostrando, contemporaneamente due o più film coordinati, creando forti contrasti visivi attraverso motivi come la luce e  il buio, bianco e nero, maschio e femmina.

Il mio lavoro riguarda le molteplici problematiche degli Iraniani molto spesso, avendo il mio lavoro come oggetto il mondo islamico e le sue connessioni alla società contemporanea, mi trovo a dialogare con persone che non condividono le posizioni dell’attuale regime e la Rivoluzione Islamica; oppure, con gente che vive all’estero, e che mancano dal Paese dal tempo della Rivoluzione. Molto spesso queste persone non sono interessate a ciò che faccio; guardano alle mie opere solo come ad una piattaforma di discussione polemica e non come ad un’opera d’arte. Ciò rende la cosa non interessante anche per me in quanto non mi considero un’attivista. Ho sempre cercato di sottolineare che il mio lavoro non è in nessun modo “politico”. Con il mio lavoro sollevo argomenti, pongo interrogativi ma non offro delle risposte. Credo sia giunto il momento per fare questo.  In termini “occidentali” direi che la gente oggi comprende molto meglio il mio lavoro e devo fornire meno spiegazioni circa il significato anche se, non ogni progetto, riscuote successo. Credo comunque che  i miei sforzi mi stiano oggi portando delle soddisfazioni  nel  costruire con la gente un dialogo più ampio e universale anche se il soggetto è ancora decisamente iraniano per forma e natura.6

3. Opere

Per molti anni è stata conosciuta nell’ambiente artistico per le fotografie con focus politico e per le video installazioni dedicate alle donne in Iran. Come già accennato in lei vivono e si confrontano le due culture, islamica e americana, e il suo lavoro artistico ne è di conseguenza influenzato: ogni opera posa lo sguardo sulle complesse realtà sociali, religiose e politiche che caratterizzano la sua personale identità e le diverse identità delle donne musulmane di tutto il mondo. Parlando delle sue radici Neshat dice “Ogni artista iraniana, in una forma o nell’altra, è politica. Le politiche hanno segnato le nostre vite”7.

Uno dei suoi lavori più rinomati è proprio la serie fotografica a cui ho già accennato, Women of Allah, in cui racconta la difficile condizione delle donne iraniane: si fa fotografare coperta dal velo, con un fucile, e le parti del corpo che lascia scoperte, di volta in volta mani, piedi, braccia, sono ricoperte da scritte che riportano e fanno esplodere le ossessioni dell’artista e i controsensi della società: donna e uomo, individuo e collettività, sessualità, sottomissione.

Turbulent, del 1998, è invece una video installazione a doppio schermo in cui l’artista seduce creando, attraverso uno spaccato di antica musica e poesia persiana, un raffronto visivo e sonoro fra due cantanti (Shoja Azari a sinistra e la compositrice e vocalista iraniana Sussan Deyhim a destra) che diviene metafora dei ruoli di genere e della gestione del potere culturale nella società islamica contemporanea. Accade così che da un lato l’uomo intoni un canto delicato e musicalmente poetico, ricevendo il plauso di un pubblico composto, interessato, gratificante e, dall’altro lato, la cantante si faccia espressione di una interiorità sofferente ed estenuata, d’un dramma evidente, davanti a una platea deserta. Si tratta dunque di un chiaro esempio e denuncia della diversità tra la condizione maschile e quella delle donne, alle quali, in Iran, è proibito cantare in pubblico.

I l bianco e nero, che l’artista chiaramente predilige al colore, è un elemento altamente simbolico, che ricorre qui come nei due lavori successivi: Rapture, del 1999, e Fervor, del 2000, capitoli di una ideale trilogia: gli uomini indossano una camicia bianca, le donne il chador nero. Gli opposti continuano: il vuoto e il pieno, il visibile e l’invisibile, il positivo e il negativo, il buio e la luce.

La “spaccatura” è molto evidente il Fervor con il ricorso alla specularizzazione dell’immagine. La divisione virtuale dello schermo replica un’altra partizione, quella reale di una sala in cui un predicatore invasato sta tenendo il suo discorso dinnanzi a una platea perfettamente divisa a metà da un lunghissimo telo nero: le donne da una parte, gli uomini dall’altra. Nonostante questa divisione un uomo e una donna si lanciano sguardi di passione, violando naturalmente le regole e rompendo in tal modo la barriera che li separa. Ma dall’inizio e dal finale del video capiamo che i due sono condannati alla solitudine: ciascuno va per la sua strada, il desiderio viene osteggiato da una rigida visuale che impedisce per sempre ai due di incontrarsi.

Un’altra componente rilevante dell’immaginario che Neshat ha creato, installazione dopo installazione, film dopo film, è il rapporto con lo spazio, con il paesaggio nel quale l’artista inserisce i suoi personaggi, come su una scacchiera, con una precisione quasi geometrica. Paesaggio architettonico, basti pensare a Soliloquy del 1999, ma soprattutto naturale come invece in Passage del 2001, che è una delle opere più riuscite in questo senso, riflessione sul tema della morte e del ritorno del corpo alla madre terra, accompagnata da un canto primordiale che ricorda le doglie del parto, i gemiti di un orgasmo o le voci di un rituale collettivo. Un discorso ancestrale sull’interfaccia corpo/natura che ritorna anche in Tooba, dell’anno successivo, dove il fulcro simbolico-narrativo è un grande albero, attributo di un rituale che vede contrapporsi ancora una volta femminile e maschile. Girandolo in Messico, Neshat allarga maggiormente il gioco di equivalenze iconografiche e antropologiche tra culture diverse. Il binomio femminile/naturale, strettamente collegato a temi come la sessualità, la fertilità, l’identità, è al centro anche di Mahdokht, del 2004, un lavoro particolarmente surreale e molto significativo per l’uso del colore, fattore inusuale per Neshat (la fotografia stavolta è di Ghasem Ebrahimian, che ha collaborato a lungo con l’artista).

Le 5 installazioni video realizzate tra il 2004 e il 2008 daranno invece vita al lungometraggio Women without men. Tali installazioni, proiettate in spazi isolati, compongono un unico film ambientato nel 1953 che racconta, attraverso le singole storie delle protagoniste che lottano per l’emancipazione femminile, la storia di tutto il popolo iraniano che lotta per l’affermazione della democrazia.

4. Donne senza uomini

“Donne senza uomini” è una storia contemporanea iraniana scritta dalla rinomata Shahrnush Parsipur nella quale si narra la storia di cinque donne alla ricerca del loro essere complete come donne e come persone, sviluppando le proprie aspirazioni personali e riscoprendo loro stesse. Attraverso uno stile narrativo molto simile al realismo magico, che ci è molto familiare grazie alla letteratura latinoamericana8, parla delle passioni e pressioni sociali alle quali si vedono sottomesse le donne e ai doppi trattamenti sociali.

Ambientata nella Teheran del 1953, nel bel mezzo del caos e delle proteste, vengono presentate quattro donne, una sposata, un’altra prostituta e due ragazze single9. Attraverso eventi che causarono una rottura nelle loro vite, le cinque donne si riunirono in un ambiente diverso, un bosco con qualità magiche nella città di Karaj, vicina alla capitale.

Le restrizioni dei diritti per la mera colpa di essere nata donna viene messo in risalto dalla forza di queste donne indomite, valorose e con la voglia di esistere al di là della predominanza maschilista.

Chiaramente questo libro provocò grande scalpore nel suo Paese di origine trattando in modo così diretto temi considerati tabù, quali la verginità, il desiderio o la libertà sessuale della donna.

Shahrnush Parsipur, nata a Teheran nel 1946, pubblicò la sua prima opera a 16 anni e venne in seguito incarcerata ben quattro volte durante il regime dello shah e successivamente della Repubblica Islamica10 e attualmente vive in esilio negli Stati Uniti.

Come ben sappiamo la Rivoluzione Islamica ebbe un forte influsso sulla sua letteratura dal momento in cui lei stessa, in un’intervista, dice che si è trattata di una vera e propria rivoluzione contro le donne. Quando scrisse Donne senza uomini il governo la attaccò duramente sui giornali per un intero anno e fu incarcerata due volte. Tutti i suoi libri furono proibiti e non aveva più mezzi per sopravvivere. Se ne andò così dal Paese per trovare un lavoro che le permettesse di mantenersi e così approdò negli Stati Uniti, forse perché considerato il luogo più lontano dall’Iran.

E così, Shirin Neshat che pur vive a New York, ha deciso di dare il suo tocco personale alla storia raccontata da Parsipur, creando una pellicola memorabile tanto per la sua bellezza visiva quanto, e soprattutto, per il messaggio che trasmette ciascuna delle singole immagini. Messaggio che si fa via via più forte nella congiunzione coi dialoghi e le situazioni che trasmette. Un film che va visto senza pregiudizi e più di una volta per poter afferrare ogni messaggio e ogni momento e che, senza dubbio, invita molto alla riflessione, non trattando solo delle donne in Iran ma parla di qualcosa in cui tutte le donne del mondo possono sentirsi identificate a causa delle pressioni sociali, presenti e costanti anche dove quasi non ce ne accorgiamo più, o fingiamo di non accorgercene.

Il paragone con il cinema iraniano comparso in Italia nei vari festival cinematografici è inevitabile. La Neshat sostituisce nel suo film la forma del realismo poetico tipica di Kiarostami o, ancora, la forma derivata direttamente dal cinema neorealista con uno stile curatissimo e perfetto tipico delle videoinstallazioni. Non per nulla il film porta dentro di sé l’unione di alcune videoinstallazioni dirette dall’artista dal 2004 al 2008 che, sin dall’idea iniziale dell’artista, avrebbero dovuto creare un unico lavoro.

Il film ha vinto il Leone d’Argento per la miglior regia alla Mostra del cinema di Venezia nel 2009 e in Italia è stato distribuito dalla BIM Distribuzione il 12 marzo dell’anno successivo.

È dedicato alla memoria di coloro che hanno perso la vita nella lotta per la libertà e la democrazia in Iran dalla Rivoluzione Costituzionale del ١٩٠٦ al Grande Movimento del ٢٠٠٩.

L’idea dell’emancipazione femminile fa così da collante alla storia di un popolo alla ricerca di un’identità democratica. La Neshat lavora di metafore e di stile, lancia chiare ombre sulla situazione politica attuale del suo paese d’origine e cerca anche la commozione.

Attraverso le sue quattro donne, Fakhri, Zarin, Munis e Faezeh, provenienti da classi sociali differenti che condividono momenti drammatici del contesto politico in cui si trovano, Neshat regala un particolare dipinto delle donne e delle loro difficoltà.

Fakhri è una donna di mezz’età, costretta in un matrimonio totalmente privo di sentimenti e ancora innamorata di una vecchia fiamma tornata dall’America. Zarin è una giovane prostituta che vive il dramma di non riuscire più a vedere il volto degli uomini in una sorta di incubo. Munis ha invece una fortissima coscienza politica, ma deve subire l’isolamento imposto dal fratello tradizionalista e religiosamente intransigente. Faeseh, amica di Munis, è al contrario totalmente indifferente a quanto accade al di fuori del giardino di orchidee (misteriosamente magico…) ove tutte queste donne, meno Munis, si sono rifugiate e sogna costantemente di sposare il fratello dell’amica.

Mentre la storia scorre nelle strade di Teheran anche le vicende personali di queste donne si sviluppano e piano piano si intrecciano, seguendo percorsi inizialmente inimmaginabili. Ancora una volta il contrasto: sia Munis che Fakhri affronteranno con coraggio il proprio destino volto all’emancipazione, mentre Faezeh e Zarin cercheranno di imporre alle proprie esistenze delle svolte fondamentali per il proprio futuro pur rimanendo nell’ombra.

5. Conclusioni

Artista cult del mondo contemporaneo, Shirin Neshat, concentra il suo pensiero creativo principalmente sulla figura femminile e sulle contraddizioni che le ruotano attorno. In particolar modo la sua opera si caratterizza per il trattamento della condizione della donna soprattutto nelle società islamiche contemporanee.

Questa riflessione prende forma grazie alla sua capacità di mettere in relazione gli opposti e i contrasti: dal maschile al femminile, dal bianco al nero, dalla luce al buio, dalla politica alla religione, dalla patria all’esilio, dalla parola al silenzio. Dalle coppie di opposti si parte per fissare un discorso critico in primo luogo sul carattere oppressivo e di degrado nel quale vivono le donne in Medio Oriente, ma anche, in secondo luogo, sugli stereotipi che l’Occidente ha forgiato in relazione al mondo musulmano. Qualunque sia il formato in cui la sua opera prende forma, in Neshat c’è sempre un riferimento alla resistenza, alla parola, alla ricerca di un cambiamento, di libertà e democrazia.

L’artista dà voce alle donne iraniane, donne le cui vite sono state definite dalla politica e che furono, in senso stretto del loro significato, sconsiderate e svalorizzate a seconda dei cambiamenti politici del potere di turno. Donne attraverso le quali è possibile captare l’essenza dell’ideologia dello Stato.

Nelle sue opere si rappresentano e sviluppano questioni per lei fondamentali: la resistenza, la metafora dell’azione, la parola come spazio di libertà e la ricerca di un posto nuovo, sicuro, democratico ed egualitario.

Bibliografia

ARTHUR, D. (2010): Shirin Neshat foreword by Marina Abramovic, Rizzoli International.

BELTRAME, S. MOSSADEQ (2009): L’Iran, il petrolio, gli Stati Uniti e le radici della rivoluzione islamica. Ed. Rubbettino.

BRONFEN, E. (2002): Women seeing Women. Monaco: Schrimer Art Books.

CASTELLOTTI, M.B. (2004): Percorsi di storia dell’arte, vol. 3, 1ª ed. Torino: Einaudi.

D’ELIA, A. (2002): Diario del corpo. Milano: Unicopli.

EMILIANI, M. RANUZZI de’ BIANCHI, M., ATZORI, E. (2008): Nel nome di Omar. Rivoluzione, clero e potere in Iran. Bologn: Odoya.

MENCARELLI, G. (2007): “Neshat, Shirin, in Enciclopedia Italiana, VII appendice, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana. [http://www.treccani.it/enciclopedia/shirin-neshat_(Enciclopedia-Italiana)/] consultato il 30 maggio 2016.

SHAHRNUSH, P. (2003): Mujeres sin hombres. Bilbao: Txalaparta S.L.

SHIRIN, N. (2005a): Games of desire. Ed. Inglese. Charta.

(2005b): La última palabra, fotografia, ed. spagnola. Charta.

Sitografia

HONTORIA, Javier (2005): Siempre habrá violencia en mi obra, 2005 in [http://www.elcultural.com/revista/arte/Shirin-Neshat/12663], giugno 2016.

MACDONALD (2004): Between two worlds: an interview with Shirin Neshat [http://doc/1G1-128865266.html] (giugno 2016).

Donne Senza Uomini, intervista a Shahrnush Parsipur, [http://guide.supereva.it/letteratura_e_poesia_contemporanea/interventi/2010/02/donne-senza-uomini-intervista-a-shahrnush-parsipur] , giugno 2016.

Shirin Neshat e le donne dell’Islam, tra foto e parole d’henné, [http://www.pinkblog.it/post/2166/shirin-neshat-e-le-donne-dellislam-tra-foto-e-parole-dhenne] maggio 2016.

Shirin Neshat [http://www.viamontenapoleone.org/ita/people_events.php?id=120], giugno 2016.

Indice delle opere

Unveiling (1993). Serie fotografica.

The Women of Allah (1993-1997). Serie fotografica.

Turbulent (1998). Installazione audiovisiva a due schermi.

[https://www.youtube.com/watch?v=f2DNMG2s_O0)] giugno 2016.

Rapture (1999): Installazione audiovisiva a due schermi.

[https://www.youtube.com/watch?v=w5-TmFOan4c] giugno 2016.

Soliloquy (1999). Installazione audiovisiva a due schermi.

[https://www.youtube.com/watch?v=0gnjgntYBts] giugno 2016.

Fervor (2000). Installazione audiovisiva a due schermi.

Passage (2001). Installazione audiovisiva.

[https://www.youtube.com/watch?v=reZpY4VK9xY] giugno 2016.

Logic of the Birds (2002). Performance multimediale.

The Last Word (2003). Installazione audiovisiva.

Mahdokht (2004). Installazione audiovisiva a tre schermi.

[https://www.youtube.com/watch?v=LiiTo-ntnuM] giugno 2016.

Zarin (2005). Installazione audiovisiva.

[https://www.youtube.com/watch?v=1wNz9jK82U0)] giugno 2016

Munis (2008). Cortometraggio.

[https://www.youtube.com/watch?v=9tuv2aFobkc] giugno 2016.

Faezeh (2008). Cortometraggio.

[https://www.youtube.com/watch?v=-T9RozSyshY] giugno 2016

Women without men (Zanan-e bedun-e mardan) (2009). Lungometraggio.

Diretto da Shirin Neshat, Shoja Azari.

Sceneggiatura: Shoja Azari, Shirin Neshat.

Dal libro di Shahrnoush Parsipour.

Attori: Shabnam Toloui, Pegah Ferydoni, Arita Shahrzad


1 Per la biografia si veda wikipedia.org (giugno 2016), treccani.it (giugno 2016), MacDonald, “Between two worlds: an interview with Shirin Neshat”, 2004 in http://doc/1G1-128865266.html, giugno 2016.

3 M. Emiliani, M. Ranuzzi de’ Bianchi, E. Atzori (2008): Nel nome di Omar. Rivoluzione, clero e potere in Iran. Bologna: Odoya.

4 Javier Hontoria (2005): Siempre habrá violencia en mi obra [http://www.elcultural.com/revista/arte/Shirin-Neshat/12663], giugno 2016.

5 Shirin Neshat [http://www.viamontenapoleone.org/ita/people_events.php?id=120], giugno 2016.

8 Si veda per esempio Gabriel García Márquez.

9 Nel libro si parla di cinque donne mentre nel film vengono ridotte a quattro.

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